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«Parlare della ricostruzione a Dubai è solo uno spot»

Appennino centrale: ricostruire e riparare adattando ai cambiamenti climatici»

Questo il titolo del convegno tenutosi l’11 dicembre nel “Padiglione Italia” alla conferenza internazionale “Cop28” di Dubai. L’incontro era organizzato dal commissario straordinario per la ricostruzione sen. Guido Castelli e ad esso ha partecipato una nutrita delegazione istituzionale delle Marche. Nell’occasione il commissario ha diffuso un video, che può trovarsi gratuitamente in Internet, dalla lunghissima titolazione: «Un posto dove vivere – Una “case history” alla Cop 28: la ricostruzione del Centro Italia. La sostenibilità con l’uomo al centro».

Già dal titolo s’intuisce che non siamo di presenza di un’analisi critica dello stato della ricostruzione, con tutte le problematiche emerse in questi sette anni, ma di una comunicazione pubblicitaria: una celebrazione ed enunciazione di buoni propositi, dall’ottimismo debordante che si scontra con la realtà. È un’iniziativa fuori luogo quella di mescolare le problematiche della ricostruzione post sismica dell’Appennino centrale con il contesto mondiale dei cambiamenti climatici. Anzi, detto con chiarezza, non c’entra un bel niente.

Quell’uomo che si vorrebbe al centro della ricostruzione, richiamato nel sottotitolo dell’e-book castelliano, condizione base e di partenza, non è scontato che ci sarà. Si tratta di un problema da affrontare con ben diversa serietà, se in molti che conoscono alla perfezione luoghi e comunità proprio su questo settimanale hanno lanciato un grido di allarme sul rischio di una ricostruzione al termine della quale sarà scomparsa la presenza umana.

La ricostruzione è diventata d’incanto una «case history», cioè «una storia di successo che viene presentata al pubblico per mostrare quanto efficace sia stata la soluzione proposta e quali risultati abbia permesso di raggiungere»! Con tutti gli sforzi possibili e immaginabili indicare che, dopo sette anni di emergenza, la ricostruzione è un’esperienza da raccontare a livello mondiale come soluzione pratica di una post calamità, appare poco credibile se non tristemente ridicolo. Rigore e onestà intellettuale avrebbero imposto di illustrare gli errori e tutto ciò che non bisognerebbe fare (che poi è il capitolo più nutrito della ricostruzione), iniziando proprio dalla nomina di un commissario straordinario legittimato a operare in deroga alle norme ordinarie e in parte a sostituire i legittimi rappresentanti delle comunità.

Un racconto schietto e leale per evidenziare gli errori che hanno impedito efficienza e operatività all’amministrazione pubblica.

Alla conferenza del “Padiglione Italia” di Dubai si è invece rappresentata una realtà tanto positiva quanto inesistente.

Non si è parlato della scelta unica di realizzare insediamenti baraccati per l’alloggio temporaneo degli sfollati senza aver programmato un loro futuro riutilizzo; non sono state analizzate le alternative possibili agli insediamenti baraccati; non si è parlato del consumo di suolo praticato per realizzare le nuove strutture di carattere emergenziale; non sono state valutate le ingenti opere permanenti che hanno consentito insediamenti temporanei con modificazioni permanenti dei luoghi; non si è parlato del fatto che con le opere emergenziali in deroga sono saltate tutte le previsioni urbanistiche che regolavano l’uso del territorio; non si è parlato del regime derogatorio introdotto dalla fase emergenziale per quanto riguarda la tutela paesaggistica; non si è parlato del problema delle demolizioni massive di interi isolati storici senza neppure aver approvato un progetto di ricostruzione; non si è affrontato il problema delle complicazioni di carattere tecnico-amministrativo introdotte dalla gestione commissariale con le centinaia di ordinanze; non si è affrontato il problema del recupero degli edifici di carattere storico-monumentale senza la guida l’indirizzo e la gestione diretta del ministero della cultura. Queste sono solo alcune delle problematiche non risolte, ma l’elencazione potrebbe continuare a lungo.

« Crisi climatica e crisi demografica, due facce della stessa medaglia, su cui vogliamo orientare la barra di una ricostruzione che deve essere tempestiva e di qualità». Queste sono le parole pronunciate dal commissario nello spot ufficiale di presentazione dell’iniziativa di Dubai.

Dopo sette anni, con un andamento della ricostruzione privata attestata dai report ufficiali al 15 per cento e quella pubblica in misura ancora inferiore, si può essere legittimati ad affermare che la ricostruzione dovrà essere «tempestiva e di qualità»? Se non ci saranno ulteriori intoppi e inciampi non durerà meno di trent’anni. Con il rischio poi che non si concluderà mai, in quanto il numero delle segnalazioni di danni causati dal sisma è stato intorno agli 80.000 edifici, come attestato dalle schede Aedes-fast, successivamente ridotte a circa 60.000.

Ciò significa che 20.000 edifici non sono nelle condizioni per richiedere i contributi per la ricostruzione, pur avendo subito danni da terremoto.

Nelle Marche nel periodo di maggior prosciugamento demografico delle aree interne (1950-1980) si è comunque registrato un aumento della popolazione intorno al 4,5 per cento. Lo spopolamento dell’entroterra non è la conseguenza della crisi demografica né di quella climatica, ma di scelte e orientamenti socio-politici errati e di dinamiche lavorative non correttamente gestite.

La narrazione che lega la crisi climatica alla crisi demografica, con implicazioni nella ricostruzione post sismica, con un rimando scomposto fra la dimensione locale e quella mondiale, è un modo per decontestualizzare il problema e fare di ogni erba un fascio. Con questo non intendo minimizzare o disconoscere gli effetti negativi di uno sviluppo incontrollato basato sullo sfruttamento dei combustibili fossili che, abbinato all’aumento demografico a livello mondiale, pone dei seri problemi per mantenere gli equilibri naturali dell’ecosistema Terra.

Ma tutto questo con la ricostruzione non c’entra nulla. Che si possano riunire in una stessa narrazione crisi climatica a livello mondiale, spopolamento locale, terremoto e ricostruzione sembra essere una vera forzatura inopportuna e inutile. È una narrazione del post terremoto non finalizzata a una comprensione delle problematiche in modo da poterle risolvere, ma solo un espediente per dare visibilità agli attuali soggetti pubblici che gestiscono la ricostruzione.

Viene in mente una magnifica sintesi della società moderna contenuta in una canzone di Giorgio Gaber di qualche anno fa

«… Quando è moda è moda, quando è moda è moda».

E la moda per sopravvivere ha bisogno di spot.

Pierluigi SALVATI
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