Santa Camilla Battista da Varano
“Sappi ricavare e vedere il lato buono in tutto ciò che odi e vedi. Piglia la rosa e lascia star la spina. Da tutto ricava sempre il bene anche dal male innegabile.”
Camilla Battista da Varano, Santa
(Camerino, 9 aprile 1458-Camerino, 31 maggio 1524)
Di Tiziana Marozzi
È stata una religiosa mistica e umanista italiana. La sua vita si svolse in un contesto di nobiltà e potere, ma sin dalla giovane età, Camilla fu attratta dalla spiritualità, rifiutando i piaceri mondani e abbracciando una strada di penitenza e preghiera. È stata proclamata beata da papa Gregorio XVI il 7 aprile 1843 e successivamente santa da papa Benedetto XVI il 17 ottobre 2010 al termine di un processo i cui atti erano stati approvati da Leone XIII nel 1891.
Nacque il 9 aprile 1458 da Cecchina di Maestro Giacomo e da Giulio Cesare da Varano, signore di Camerino, e fu battezzata con il nome di Camilla. Fu introdotta alla vivace vita di corte nel ducato di Camerino e qui formata alle lettere, alla musica, all’arte, alla lingua latina e alla cultura umanistica, entrando in contatto con alcune delle famiglie nobili più importanti del periodo, come gli Sforza di Milano, i da Montefeltro di Urbino, i Malatesta di Rimini e i Trinci di Foligno.
Nei suoi scritti spirituali la Varano mostra competenze linguistiche e doti letterarie non comuni; soprattutto nella Vita spirituale, cap. IV, la nobildonna ormai passata a vita religiosa avrebbe rievocato con toni distaccati gli anni dell’adolescenza, trascorsi in «ornarme e legere le cose vane, […] in sonare, cantare, ballare, pazegiare» (M. Camaioli, 2020).
Accanto alla formazione umanistica e letteraria Camilla ricevette a palazzo una profonda educazione religiosa da parte della madre adottiva Giovanna Malatesta (1443-1511) dei signori di Rimini, già terziaria francescana e sposa legittima di Giulio Cesare da Varano.
Nonostante i desideri paterni che la vedevano destinata a un matrimonio strategico, Camilla decise di prendere i voti religiosi, ispirata dal fervore francescano ed, in particolare, dalle figure dei Francescani Osservanti Domenico da Leonessa e Francesco da Urbino. Nel 1479 fa voto di castità e a 23 anni matura la decisione di entrare nel monastero delle Clarisse di Urbino, dedicando la sua vita alla spiritualità e alla contemplazione.
Qui ricevette il nome religioso di Suor Battista in memoria di una cugina e della zia, Battista da Montefeltro. Il suo cammino religioso non fu privo di difficoltà: oltre alla lotta interna contro le tentazioni mondane, dovette affrontare le turbolenze politiche che affliggevano la sua famiglia, incluso il brutale assassinio del padre e dei fratelli nel 1502 per mano di Cesare Borgia.
Iniziò dal 1483 la composizione «in un foglio de carta con trista e cursiva letera» della sua prima opera, i Ricordi, che consistono in una serie di ammonimenti e di consigli spirituali che affermava di aver ricevuto direttamente da Cristo e che avrebbe conservato in forma disorganizzata fino al 1491, quando, «sforzata della interiore ispirazione» li avrebbe trascritti «in megliore carta e con megliore e più formata letera», al fine di permetterne una maggiore circolazione tra le consorelle e il crescente numero di discepoli che andavano affidandosi alla sua guida.
Grazie al mecenatismo paterno il monastero fu ristrutturato e abbellito con il prezioso coro ligneo realizzato nel 1489 e autografato dall’intarsiatore settempedano Domenico Indivini (1445-1502). Costituito da doppio ordine di stalli, esso presenta negli specchi intarsiati un’interessante sequenza di motivi cristologici riconducibili al tema della Passione, il cui disegno iconologico fu elaborato con ogni probabilità dalla stessa santa, che tradusse il proprio travaglio spirituale, incentrato sulla passione di Cristo, nel testo De’ dolori mentali di Cristo, la sua «opera teorica più importante» (Scrittrici mistiche italiane, 1988, p. 303).
Uno degli aspetti più notevoli della vita di Camilla fu, infatti, la sua intensa devozione alla Passione di Cristo, che permeò profondamente la sua spiritualità documentata nei suoi scritti, testimoni della sua esperienza mistica e della sua straordinaria capacità di guidare le consorelle nella vita religiosa. “I virtuosi camminano, i sapienti corrono, gli innamorati volano sulla via di Dio. Se puoi correre non camminare, se puoi volare non correre perché il tempo è breve.”
Negli anni seguenti al rientro a Camerino, la religiosa strinse o rinsaldò i suoi rapporti anche con altri frati minori dell’Osservanza discepoli di Giacomo della Marca, come Francesco da Urbino, Pacifico da Urbino e Domenico da Leonessa, cui dedicò nel medesimo 1491 la seconda versione dei Ricordi e la Vita spirituale. Nota anche come Autobiografia, quest’ultima rappresenta una fonte preziosa per la ricostruzione della vita e del cammino spirituale compiuto dalla Varano nell’arco di circa venticinque anni.
Datata 27 febbraio 1491, ma risalente fino al 1466/1468, ripercorre i diversi momenti di un itinerario di perfezione scandito da visioni e da meditazioni particolari (su tutte, quelle sui dolori di Cristo nella sua Passione), pratiche quotidiane, devozioni mariane (come l’esercizio di immedesimarsi nella Madonna ai piedi della croce), materiali avversità e ricorrenti momenti di sofferenza interiore.
Redatta in forma di epistola a Domenico da Leonessa e suddivisa in 19 capitoli, l’opera delinea un percorso spirituale fortemente personale e tormentato, riflesso in una scrittura pervasa di una «infelicissima felicità» e che appare essa stessa generata da «un dolore più che corporale o spirituale, metafisico e metapsichico, coincidente con l’esproprio della propria identità» e con la tensione verso
Datato luglio 1491 e composto di tre capitoli che approfondiscono i temi della santa anoressia, della devozione eucaristica e della santità di vita serafica, il Transito è uno dei suoi tre scritti autografi conservatisi, insieme con una lettera a Muzio Colonna e con un breve scritto spirituale indirizzato al monaco olivetano Antonio da Segovia, con il quale fu in contatto a partire dal 1492.
In questi anni la Varano proseguì la sua attività all’interno del monastero di Camerino, di cui nel 1499 fu eletta badessa. Si dedicò inoltre alla stesura delle Istruzioni al discepolo, un trattatello spirituale diviso in nove capitoli o ricordi per lungo tempo ritenuto indirizzato al francescano osservante (e poi cappuccino) Giovanni Pili da Fano, ma forse anch’esso rivolto ad Antonio da Segovia (Serventi, 2018, p. 107).
Agli stessi anni risale il Trattato della purità del cuore, una ispirata riflessione sull’unione mistica dell’anima con Dio influenzata dai motivi e dal linguaggio del Cantico dei Cantici, in cui la religiosa descrive tre tipi di purità della mente e di crocifissione mentale, indugiando sui temi dell’odio di se stessi e dell’offerta totale dell’anima a Dio.
Con la scomunica del duca Giulio Cesare da Varano da parte di papa Alessandro VI e l’assedio di Camerino a opera delle truppe comandate dal figlio di questi, Cesare Borgia detto il Valentino, nel 1502 Battista fu costretta a una precipitosa fuga dalla città, conclusasi ad Atri dove, dopo esser stata respinta da Fermo, trovò rifugio insieme con alcune consorelle presso Isabella Piccolomini, consorte del duca Matteo Acquaviva d’Aragona.
Qui probabilmente fu raggiunta dalla notizia dell’uccisione del padre e di tre dei suoi quattro fratelli da parte del Valentino. L’unico superstite, Giovanni Maria, fu colui che nel 1503, in seguito alla morte del pontefice e alla sconfitta del Borgia, poté fare rientro a Camerino per assumere il titolo ducale e restaurare così il regime dei Varano.
Rientrata al seguito del fratello, Battista tornò a stabilirsi nel monastero di S. Chiara come vicaria e badessa, dove fu una riformatrice all’interno della vita monastica come documentale le varie missioni come affidatele nel 1505-07 dal papa Giulio II per la riforma del monastero delle clarisse di Fermo e quella analoga svolta a San Severino nel 1521-22.
Qui rimase fino alla morte, avvenuta il 31 maggio 1524 a Camerino a causa della peste, lasciando un’eredità di santità e di saggezza spirituale.
La sua figura, centrale della spiritualità cristiana del Rinascimento italiano, divenne un faro per molte donne religiose che cercavano di vivere una vita di povertà, di obbedienza e di castità, secondo l’esempio di San Francesco e di Santa Chiara.
La sua vita rappresenta un modello di resilienza, fede e dedizione, non solo per le Clarisse, ma per tutti coloro che cercano di vivere una vita cristiana autentica.
La sua memoria è celebrata ogni anno il 31 maggio, giorno della sua morte.
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